La fondazione del 1343 col nome di Santa Chiara

La documentazione sull’iniziale presenza delle Clarisse in Oristano è sfumata, certa è invece la data di rifondazione: 22 settembre 1343. La si rileva dalla lettera apostolica inviata dal papa Clemente VI al giudice Pietro III:

Due anni dopo (30 giugno 1345) Pietro III,

per la sua magnanimità e speciale “devozione a s. Chiara”, ottiene dal medesimo papa il permesso di accedere al monastero, e con lui la madre, la sorella Maria e altre persone. La lettera precisa che il monastero include la preesistente chiesa di San Vincenzo martire: monasterium monialium inclusarum Sancti Vincencii de Arestano.

Il monastero già nel 1345 risulta abitato da tredici suore provenienti in parte da Pisa.

Il giudice Pietro III, che ridonò vita a questo monastero, morì tra aprile-giugno 1347 e sua moglie donna Costanza, figlia di Filippo Aleramici marchese di Saluzzo, vi si ritirò trascorrendovi gli ultimi mesi di vita.

santa chiara oristano 2Una lapide ritrovata nel secolo scorso, con epigrafe funeraria in caratteri gotici ci ha lasciato la data della sua morte e il luogo di sepoltura: Hic iacet egregia domina Constancia de Saluciis olim Iudicissa Arboree que obiit die XVIII mensis februarii anno domini millesimo quadragesimo octavo (Qui riposa l’egregia donna Costanza dei Saluzzo già giudicessa di Arborea, che morì il giorno 18 febbraio dell’anno del Signore 1348).

Di donna Costanza di Saluzzo resta pure la pergamena del suo contratto matrimoniale con Pietro III (1339), contemplante il dono dotale di questi - tra l’altro - della villa di Molins de Rey, situata nel basso Llobregat in Catalogna, che lei in morte lasciò al monastero di S. Chiara. Lascito munifico che alle suore però non portò frutti, data la difficoltà di amministrarlo per la lontananza e altri problemi, per cui tra il 1367-71 il monastero lo poté rivendere alla regina Eleonora d’Aragona che già lo possedeva di fatto. Lo attestano diverse lettere dei pontefici Urbano V e Gregorio XI. santa chiara oristano 5

Il giudice Mariano IV, emulando in generosità suo fratello Pietro III al quale succedette, completò la costruzione del monastero. Già l’anno prima che divenisse giudice di Arborea, il 30 giugno 1347 a sua moglie Timbora papa Clemente VI aveva concesso di poter visitare qualunque monastero femminile una volta l’anno con dieci oneste donne. Il 30 luglio 1356, invece, Innocenzo VI concede a Timbora il privilegio di entrare nel monastero di S. Chiara in Oristano sette volte l’anno con le figlie e quattro oneste donne, a motivo della sua devozione e per essere stati i predecessori di suo marito fondatori del monastero. Tra le figlie c’era la futura giudicessa Eleonora d’Arborea.

Con l’atto pubblico del 19 aprile 1368 Mariano IV dota, “in perpetuo”, il monastero delle Clarisse: si tratta di un notevole contributo economico, 260 lire l’anno, per il sostentamento di tredici suore, proveniente dagli introiti sui dazi doganali del porto di Oristano (maioria portus). Col medesimo documento designa due sacerdoti della cappella giudicale di San Salvatore per il servizio religioso quotidiano in Santa Chiara.

La fine del giudicato e la sua trasformazione in marchesato creò certamente sofferenza alle suore, ma non cessarono le premure dei marchesi, eredi e successori dei giudici, verso il monastero e la chiesa.

È del 10 febbraio 1428 la consacrazione della chiesa e dell’altare maggiore, di cui si conserva la pergamena recentemente ritrovata, che riporta i seguenti nomi e personaggi: il marchese don Antonio [Cubello] d’Arborea, l’abbadessa suor Mattia, il vescovo di Bisarcio Biagio Spanu consacrante, l’arcivescovo di Oristano Elia, il vescovo di Usellus Giacomo Lubera, il guardiano dei frati minori fra Ludovico e il confessore fra Cristoforo.

Il monastero durante la dominazione spagnola

Tramontato il marchesato di Oristano nel 1478 e subentrata l’amministrazione dei Reali di Spagna, con la città divenuta proprietà regia il monastero comincia ad essere chiamato reale/regio. Nei documenti del monastero tale qualifica appare la prima volta nel 1577. Real monastero: un appellativo prestigioso soltanto in apparenza, a sottolineare che Santa Chiara era la chiesa ahont sa Regia Magestad te Capella Real sols en este Regne (dove sua Real Maestà tiene unicamente regia cappella in questo regno). Le premure regie però furono sempre scarne e le monache non ebbero mai un concreto aiuto.

Meglio documentata è invece la data in cui la cappellania di San Salvatore, quarant’anni dopo la caduta del marchesato, viene trasferita alla chiesa di Santa Chiara dalla reggia giudicale, divenuta nel frattempo sa domu de su marchesu e, in seguito (sin dal Cinquecento), adibita a carcere. Una lettera di Carlo V del 1518, infatti, così dispone: la missa que per abans se celebrava en las casas del marques se diza en lo convent de santa Clara (la messa che prima si celebrava nelle case del Marchese venga detta nel convento di Santa Chiara). Un appunto sui paraments del rei descrive anche l’arredo ivi trasportato, fra cui un devant de altar ab la casulla, stola j maniple de damas blancs ab le frangies de or i armes reales (un paliotto con pianeta, stola e manipolo di damasco bianchi con frange in oro e stemma del re). Della cappella di San Salvatore resta oggi il tabernacolo ligneo con il Cristo risorto raffigurato sulla porticina.

Il cappellano di San Salvatore continua in S. Chiara a godere l’elemosina di una messa quotidiana da parte dal tesoro regio e, per disposizione della corte, siede e ha voce nello stamento ecclesiastico dell’Isola. In tale assise le suore hanno voce per mezzo del cappellano che vi si reca munito dei sigilli del monastero. Mentre però poco o nulla sappiamo dei suoi interventi, più documentati e numerosi presso il Parlamento sono quelli dei Sindaci di Oristano per ricordare gli impegni presi e mantenuti dal giudice Mariano IV e dai successori sino al marchese don Leonardo Alagon circa la “provvisione giornaliera per tredici suore”. Le ripetute loro richieste trovano accoglienza soltanto negli atti, mai concretamente. Nel 1574 il sindaco Francesco Pintolins, per le condizioni di indigenza in cui versano le suore chiede almeno una elemosina; la risposta è: hi tendrà compte (se ne terrà conto).

Provvidenzialmente all’insensibilità dei governanti ha fatto sempre generoso riscontro quella degli oristanesi e degli abitanti del circondario con donazioni alla chiesa e al monastero.

L’invasione che Oristano subisce dal 22 al 26 febbraio 1637 ad opera dei soldati francesi (is sodraus grogus), sbarcati nel golfo da una flotta di 45 navi da guerra al comando di Carlo di Lorena conte d’Harcourt e dell’arcivescovo di Bordeaux, costringe alla fuga anche le suore del monastero, alcune delle quali si rifugiano a Villaurbana, altre a Laconi dai familiari fino alla cessazione del pericolo. Al rientro trovano, come altre famiglie della città, la chiesa e il monastero profanati, arredi e paramenti asportati, tutti gli ambienti rovistati e suppellettili mancanti o distrutte. Ma non è tutta opera degli invasori francesi. Infatti uno storico del tempo, Giorgio Aleo, riferisce che il saccheggio perpetrato dai francesi - che pur subirono poi non meno di ottocento morti durante il tentativo di reimbarco lasciando in mano ai sardi due bocche da fuoco, numerosi cannoncini, otto vessilli “quattro dei quali attualmente esposti nella cattedrale”, molti prigionieri ed una parte del bottino - dopo viene completato dai “miliziani” sardi venuti ad Oristano da ‘liberatori’. Una tradizione orale del monastero parla anche di un sacrista infedele al quale le suore hanno affidato le chiavi del monastero e la custodia di un alto numero di scudi d’oro occultati prima di fuggire, scudi che non vengono più ritrovati.

Tra le notizie riportate da un registro del monastero [Cabreo] risulta la donazione alla chiesa di Santa Chiara di un grande retablo, fatto dipingere dal ricchissimo notaio oristanese Felice Contu, una nipote del quale era monaca; detto notaio entrò poi nell’ordine dei Domenicani con il nome di fra Pietro. Ma di tale icona non resta ulteriore notizia. Il nome assunto da religioso però è spia per capire che si tratti del retablo di cui rimane il tabernacolo con ai lati, in altorilievo, gli apostoli Pietro e Paolo, del secolo XVII, collocato in un retablo del sec. XVII, di cui restano – parte in monastero e parte i collezione privata – scolpiti in altorilievo i medesimi apostoli Pietro e Paolo, due aquile e due cariatidi. di Altri doni per il culto eucaristico sono del marchese don Damiano Nurra.

Con la Sardegna ormai dominio dei Savoia (1720), la cappellania di San Salvatore perde il suo riferimento ai reali di Spagna e scompare anche il cappellano che quotidianamente vi celebrava messa. Il suo altare (il primo a destra entrando in chiesa), con atto di fondazione del 2 dicembre 1771, viene dedicato alla Vergine SSma de S del Rimedio, con omonima statua ivi collocata.

Tra i diversi registri di amministrazione di questo periodo contenenti immagini di santi, ma soprattutto di S. Chiara, va segnalato l’acquerello del 1761, raffigurante Santa Chiara con ostensorio e pastorale, con richiamo alla sua autorità spirituale di servizio, alle cui spalle presenta una cinta muraria con torri e campanili forse di Oristano.

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